Bianca Martinelli
Le quotazioni raggiunte negli ultimi mesi dalle aste meneghine portano il capoluogo lombardo al pari delle grandi piazze di vendita internazionali
Se volessimo usare una metafora ludica, potremmo definire Paolo Scheggi il nuovo “Re di denari” dell’arte italiana. Già, perché grazie all’aggiudicazione da 1,623 milioni di euro, diritti d’asta compresi, raggiunta lo scorso 20 maggio dall’opera Intersuperficie curva bianca (1969) nell’ambito dell’asta d’arte moderna e contemporanea tenutasi nella sede milanese di Sotheby’s, l’artista entra indiscutibilmente a far parte della schiera di artisti italiani più quotati al mondo. Un risultato che in molti non hanno esitato a definire epocale, principalmente per due motivi: da un lato l’ingresso definitivo dell’artista – prematuramente scomparso nel 1971, all’età di 31 anni, e solo negli ultimi anni oggetto di una marcata quanto repentina attenzione da parte del pubblico e del mercato – all’interno dell’Olimpo dell’arte contemporanea e dall’altro, fatto non scontato, poiché pone (se non altro, per una volta) il capoluogo lombardo al pari delle grandi piazze di vendita come Londra o New York. Eseguita nel 1969, e pertanto da annoverare tra le ultime opere realizzate da Scheggi prima della sua dipartita fisica, Intersuperficie curva bianca si compone di tre tele sagomante sovrapposte e fa parte di una serie di lavori realizzati dall’artista nel corso degli anni ‘60.
Intersuperficie curva bianca
Per la realizzazione dell’opera, importanza basilare fu rivestita dal contesto milanese, fertile e stimolante, dove Scheggi operò e intrattenne rapporti con artisti del calibro di Piero Manzoni, Enrico Castellani o Agostino Bonalumi da cui mutuò l’idea e, al tempo stesso, la necessità di una ricerca artistica che si dimostrasse in grado di trascendere la bidimensionalità della pittura tradizionale. Il lavoro è stato esposto all’interno di rilevanti esposizioni, tra cui vitalità del negativo nell’arte italiana 1960/70, curata da Achille Bonito Oliva al Palazzo delle esposizioni di Roma, o la prima retrospettiva postuma dedicata all’artista e curata dalla vedova Franca Scheggi alla Galleria d’arte moderna di Bologna nel 1976.
Un record che non ha mancato di sollevare tra gli addetti ai lavori una comprensibilissima serie d’interrogativi: come può uno Scheggi costare più di artisti dal percorso completo e complesso come, tanto per fare qualche esempio, quello del padre dello Spazialismo Lucio Fontana o, ancora, di una tela di un maestro indiscusso della natura morta come Morandi?
Schizofrenia di un mercato, quello delle aste, che tra le altre cose premia certamente la rarità delle opere, oltre che la qualità, la provenienza e la pregnanza del periodo storico d’esecuzione. Del resto la carriera di Scheggi è stata breve e i lavori prodotti limitati: ci sono dunque poche, pochissime sue creazioni, ma molti potenziali acquirenti disposti all’investimento. Sta di fatto che il risultato raggiunto (che peraltro va a sommarsi a un altro record degno di nota: i 19.681.075 euro di fatturato totale realizzati in soli due giorni da Sotheby’s Milano con l’asta in questione, il risultato più alto mai raggiunto sinora dalla sede milanese) costituisce il nuovo record d’asta per l’artista, che schizza così tra gli italiani più richiesti e pagati.
Quanto ai grandi Maestri sopra citati, i risultati raggiunti nella scorsa primavera milanese hanno il sapore della conferma: Lucio Fontana figura tra i top artisti con tre Concetti spaziali della serie Attese, stimate tra i 500 e i 800 mila euro e vendute a 819 mila, 795 mila e 651 mila. Una Natura morta del 1953 di Giorgio Morandi è stata battuta per 843 mila euro (stima 460-600 mila), mentre Red Ladder (1960) di Salvatore Scarpitta ha registrato 675 mila euro, a fronte di una stima di 250-350 mila. In comprensibile e meritata ascesa Alberto Burri che, nell’anno delle celebrazioni per il centenario dalla nascita, ha totalizzato rispettivamente 579 mila, 459 mila e 363 mila euro con tre piccoliCretti del 1972, 17x29 cm di lato e una stima compresa tra i 150-200 mila euro. Sempre Burri: 495 mila per Nero Mi e 435 mila euro per l’opera Cellotex P4 (stimati 150-200 mila).
Le opere
Tra le realtà milanesi da tenere monitorate, Il Ponte, casa d’aste meneghina fondata nel 1974, che nell’ultimo triennio ha visto il giro d’affari del proprio dipartimento d’arte moderna e contemporanea lievitare da 400 mila a 6 milioni di euro. Cifre ben lontane, certo, da quelle da capogiro realizzate da multinazionali del settore come Sotheby’s e Christie’s, eppure, il dipartimento capitanato da Freddy Battino, si difende: 4.261.913 euro di fatturato complessivo e il 96% sul totale di lotti venduti per l’asta tenutasi a Palazzo Crivelli lo scorso giugno, che ha segnato un record per questa realtà in graduale, ma costante crescita. Tra le migliori aggiudicazioni: un piccolo guazzo su carta di Yves Tanguy del 1940 è stato battuto per 135 mila euro, a fronte di una stima di 55- 75 mila, 162.500 euro (stimato tra 50 e 70 mila) per il “senza titolo” (anni ‘50) di Roberto Matta, mentre Notturno(1954), il piccolo olio su tela di Osvaldo Licini, stimato 20-30 mila, con i suoi 92.500 euro, diritti d’asta compresi, ha più che triplicato il proprio valore. Bene anche la scultura – in catalogo opere di Fausto Melotti, Agenore Fabbri, Lucio Fontana, Nam June Paik, Arman, Giò e Arnaldo Pomodoro – come quella in ferro di Eduardo Chillida, immagine-copertina del catalogo e battuta a 400 mila euro, a fronte di una stima compresa tra gli 80- 150 mila.
Scheggi supera se stesso
Il precedente record d’asta di Scheggi risale a pochi mesi fa: l’11 febbraio 2015 un’altraIntersuperficie curva bianca, simile a quella battuta a Milano ma realizzata nel 1967, è stata aggiudicata da Christie’s a Londra per 1,2 milioni di sterline (pari a 1,6 milioni di euro) a fronte di una stima iniziale di 250-350 mila. Un risultato che, anche allora, superò di gran lunga le aspettative, quadruplicando il precedente record di “soli” 573 mila euro raggiunto nel maggio del 2014.
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